PACE E DISARMO
Liberi e Uguali: contributo programmatico su pace e disarmo
29 DICEMBRE 2017
La RedazioneCONDIVIDILO
Per una Italia nonviolenta: proposte per politiche attive di pace e disarmo
Di fronte a quella che viene difinita la "terza guerra mondiale diffusa", all'espansione del terrorismo internazionale, all'ondata di profughi che scappano dai Paesi devastai, non basta più il principio costituzionale del "ripudio della guerra". Necessario, rispetto alla denuncia delle missioni di guerra in cui l'Italia è ancora ingaggiata, ma non sufficiente rispetto alla corsa agli armamenti degli ultimi quindici anni. E' tempo, ormai, di cambiare le coordinate, a partire dalla conoscenza dei dati reali, e impostare politiche attive di pace e disarmo.
Analisi dei dati
I dati reali (analizzati e diffusi dall'"Osservatorio italiano sulle spese militari italiane") ci dicono che negli ultimi 10 anni di recessione e di tagli in tutti i comparti sociali, la spesa pubblica militare italiana è invece aumentata del +21% con una crescita costante, che continua tuttora. Se nel 2017 la spesa militare complessiva si è attestata sulla cifra enorme di 24 miliardi di euro, corrispondente a 64 milioni al giorno, la Legge di Bilancio per il 2018 prevede un miliardo in più (corrispondente al +4%) per giungere a 25 miliardi di euro, pari all'1,42% del PIL (più della Germania, ferma all'1,2%). Questo significa, per esempio, che siamo l'ultimo Paese europeo per spesa pubblica per l'istruzione, per la cultura e per numero di laureati, mentre siamo il primo Paese per cacciabombardieri F35 acquistati, per numero di portaerei, per tasso di incremento della spesa militare. Ed anche per numero di testate nucleari USA in Europa.
Economia di guerra
Una parte consistente di queste risorse, pari a 3,5 miliari sul 2018 (+5% rispetto al 2017), proviene dal Ministero per lo Sviluppo Economico per l'acquisizione di nuovi armamenti "made in Italy". Cifra pari al 71% del budget totale del MiSE per la competitività e lo sviluppo delle imprese italiane. Ciò significa che lo sviluppo industriale italiano è centrato in larghissima parte sull'industria bellica. Se a questo si aggiunge che Leonardo-Finmeccanica (azienda di cui il governo italiano è azionista di maggioranza) ha completamente dismesso la tecnologia civile a vantaggio di quella militare, che esporta in tutto il mondo; se si aggiunge anche che le autorizzazioni all'export bellico italiano negli ultimi due anni sono sestuplicati, passando da 2,1 a 14,6 miliardi di euro, anche in pesante violazione della legge 185/90 sul commercio delle armi, che non consente la vendita ai regimi ed ai Paesi in guerra (come l'Arabia saudita che scarica sullo Yemen i missili prodotti in Sardegna), ne deriva che l'economia profonda del nostro Paese è sempre di più fondata sul business di guerra.
Svuotare gli arsenali per colmare i granai
Dunque, se non si aggredisce il tabù dell'economia di guerra non è possibile impostare una sostenibile economia di pace, ossia civile e sociale. Non si può rovesciare il tavolo delle diseguaglianze se non si rovescia - contemporaneamente - il tavolo della guerra, liberandone le risorse imprigionate. "Svuotare gli arsenali per colmare i granai", avrebbe detto con una metafora efficace l'indimenticato Presidente Pertini.
Cooperazione, non guerra
Serve una politica estera di pace. Dobbiamo rafforzare le politiche di cooperazione e solidarietà internazionale, di promozione dei diritti umani attraverso l'applicazione delle convenzioniinternazionali e rifiutare l'interventismo militare al servizio di una logica di guerra e non di pace. Non serve una "Europa fortino" o super potenza armata, ma una politica italiana ed europea a sotegno del rafforzamento del ruolo di tutte quelli sedi internazionali -come le Nazioni Unite e l'OSCE- capaci di promuovere la pace e prevenire i conflitti.
A partire da questo quadro, ecco, dunque, le proposte emerse dal Tavolo tematico di Reggio Emilia su Pace e Disarmo, articolate per ambiti:
⁃ costruire la pace con mezzi pacifici
⁃ una politica estera di pace
⁃ riconversione sociale delle spese militari e civile dell'industria bellica
# Costruire la pace con mezzi pacifici
Di fronte al dilagare di guerre e terrorismi gli anticorpi sono nella Costituzione, in particolare negli articoli 11 e 52. L'articolo 11 con il ripudio della guerra, anche come "mezzo di risoluzione delle controversie internazionali", apre alla ricerca dei mezzi alternativi per affrontare i conflitti; l'articolo 52 nel quale la "difesa della patria è sacro dovere del cittadino", apre alla necessità di difendersi da tutte le minacce possibili, non solo da quelle di carattere militare e non solo con lo strumento militare.
Dalla messa in valore di questi principi hanno preso il via alcune campagne della società civile come la campagna "Un'altra difesa è possibile" per sottrarre il monopolio della difesa ai militari e la campagna "Italia ripensaci" per la ratifica del Trattato ONU per la messa al bando delle armi nucleari.
I temi programmatici per costruire la pace con mezzi pacifici si sviluppano su più livelli.
Culturale:
- difronte ad atteggiamenti violenti da parte di una fetta di società giovanile, che si manifesta nel radicalismo (fascista o islamista che sia), nel sessismo, nel bullismo ecc, avviare un piano nazionale di educazione alla pace e di formazione alla nonviolenza nelle scuole di ogni ordine e grado, a partire dalla formazione permanente dei formatori, per imparare a gestire i conflitti in modo positivo a cominciare dalle relazioni interpersonali;
- di fronte all'oblio, al negazionismo, all'ignoranza diffusa e "funzionale", che favorisce atteggiamenti di violenza culturale, intervenire sui programmi scolastici, per ridare centralità alla scuola come luogo di elaborazione del pensiero critico, aperto e complesso, ampliando la quantità di ore delle materie umanistiche e, in specie, di storia e geografia.
Istituzionale:
- nonostante diverse sentenze della Corte costituzionale e la stessa legge istitutiva del Servizio civile universale, lo definiscano strumento di difesa non armata della Patria, in realtà, non esiste equivalenza economica, istituzionale e organizzativa tra la difesa militare e la difesa civile: per un anno di servizio civile si spende l'equivalente di un paio di giorni di spesa militare. Si tratta allora di potenziare il servizio civile, riducendo le spese militari e investendo su questa "seconda gamba" della difesa, garantendo ai giovani volontari civili lo stesso trattamento dei giovani volontari militari.
- istituire il "Dipartimento per la difesa civile, non armata e nonviolenta" quale luogo di promozione, sviluppo e coordinamento della "seconda gamba della difesa", significa dare concretezza istituzionale e pari dignità alla difesa civile, non armata e nonviolenta.Che non può essere addossata solo ai giovani in servizio civile, ma deve diventare, compito istituzionale dello Stato che si dota di un Dipartimento dedicato, quale il luogo di progettazione e pianificazione delle alternative civili alla difesa militare;
- analogamente ai luoghi di ricerca e formazione della difesa militare, anche la difesa civile ha bisogno di un Centro di ricerca per la trasformazione nonviolenta dei conflitti, capace di fare ricerca sui conflitti interni e internazionali, di fare formazione agli operatori e sperimentazione delle pratiche di azione, in dialogo con i Centri di ricerca europei e internazionali
Internazionale
- Mentre il pericolo atomico si fa sempre più minaccioso per l'umanità e la "Campagna internazionale per la messa al bando delle armi nucleari" ha ricevuto il Premio Nobel per la Pace, l'Italia ha boicottato i lavori e non ha ratificato il Trattato ONU per la messa al bando di queste armi di distruzione di massa. Ratificare il trattato per il disarmo nucleare e disfarsi delle decine di testate USA sul territorio italiano, è il primo compito di un governo che voglia costruire la pace con mezzi pacifici
- I progressi relativi all'intelligenza artificiale ed alla cibernetica, come tanti altri importanti progressi tecnologici, possono aprire grandi opportunità di applicazione nell'ambito civile, ma generano anche grandi problematiche inerenti ai temi etici e della pace. Per questo occorre fin da ora intraprendere iniziative di studio e di sensibilizzazione volte al controllo dell'applicazione delle moderne tecnologie nell'ambito degli armamenti autonomi, puntando fin da subito a limitarne l'uso ed alla messa al bando di eventuali dispositivi autonomi dotati di armamenti letali.
- Un quarto di secolo di interventi militari in giro per il mondo non hanno risolto i conflitti ne generato più sicurezza, ma hanno prodotto più guerre, più terrorismi, più violenza. Adesso è giunto il momento di tornare al dettato costituzionale per costruire i mezzi di risoluzione delle controversie internazionali che ripudino davvero la guerra. Dopo la sperimentazione limitata all'interno di alcuni progetti di servizio civile è necessario costruire dei veri e propri Corpi Civili di Pace, capaci di intervenire con la nonviolenza, prima, durante e dopo l'esplosione di un conflitto.
- La fine del Patto di Varsavia e la costruzione dell'Unione Europea pongono il tema del ruolo e la funzione della NATO in un mondo che è radicalmente cambiato. La nostra scelta è quella del multilateralismo, non dell'unilateralismo. Per questo, per noi, si tratta di investire nel rafforzamento delle Nazioni Unite e nella costruzione dell'Unione Europea. Per questo motivo guardiamo con particolare attenzione ai processi in atto relativamente alla costruzione di un modello di difesa comune nell'Unione Europea, avendo ben presente che una difesa comune non può che andare di pari passo con un controllo democratico della stessa e con una importante evoluzione politica in tal senso della stessa Unione Europea.
⁃ # Una politica estera di pace
⁃ La costruzione di una politica internazionale di pace deve muoversi attraverso quattro linee di indirizzo:
⁃ 1. prevenire i conflitti, privilegiare i diritti umani e operare decisioni per favorire lo sradicamento della povertà e la crescita del dialogo diplomatico fra le varie nazioni;
⁃ 2. democratizzazione e trasparenza nel modo di agire. Maggiore incidenza del Parlamento in materia di difesa e di politica estera, in contrasto con i diktat e le decisioni arbitrarie.
⁃ 3. autonomia della politica estera di un singolo paese: occorre evitare una subalternità dannosa per le relazioni internazionali.
⁃ 4. Il fatto che ci troviamo di fronte al Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale è una buona partenza, ma solo se coadiuvata da una seria politica di pace come obiettivo di benessere. Una prima scelta non sindacabile.
⁃ Da queste linee di indirizzo derivano i seguenti punti specifici:
⁃ Portare avanti il concetto di multilateralismo. Risulta preferibile concentrarsi su un multilateralismo e una maggiore partecipazione, come l'adesione ai protocolli condivisi (trattati, sentenze delle corti internazionali, ecc.). Con il metodo del multilateralismo si possono evitare i conflitti e scegliere partner strategici per la cooperazione favorevoli ad una politica di pace.
⁃ Una politica estera più democratica e rappresentativa. Il Parlamento deve poter avere voce in capitolo sulle decisioni in merito ad ogni intervento militare e più in generale sulle politiche del Ministero degli Affari Esteri, al fine di cercare il dialogo per l'affermazione di politiche rivolte alla pace.
⁃ Riprendere il programma degli anni Ottanta di "Agenda for peace", per favorire una possibile riforma dell'ONU, in modo tale che sia meno soggetto ad influenze esterne di potenze determinanti nello scacchiere internazionale.
⁃ Riprendere in mano e rilanciare il Disegno di Legge di Raniero la Valle del 1990 sull'applicazione dell'art. 11 della Costituzione Italiana, favorendo così un maggiore dialogo, volto alle politiche di pace, anche tra le forze politiche del nostro paese.
⁃ Rafforzamento della Unione Europea, in contrasto con le decisioni arbitrali della cosiddetta Eurozona, con il rafforzamento anche delle realtà locali e un maggior dialogo trasparente tra i singoli stati e il Parlamento Europeo. Favorendo anche gli scambi culturali di carattere politico e informativo. Partire dall'associazionismo locale, elevandolo a modello nazionale e perfino internazionale.
#Riconversione sociale delle spese militari e civile dell'industria bellica
Il Modello di difesa militare inizia a cambiare nel 1991, quando si fa strada l'idea che la sicurezza dell'Italia deve essere garantita proiettandola oltre i propri confini: una modifica del "modello" da difensivo ad offensivo. Oggi, nel Libro bianco della Difesa, l'industria della sicurezza/difesa viene individuata come "pilastro manifatturiero e occupazionale". Il binomio industria militare/sistema militare ha aumentato l'ambizione bellica del paese sullo scenario internazionale, in palese contrasto con il dettato costituzionale. Le industrie si focalizzano sui mercati di esportazione, cioè stanno in piedi vendendo armi nelle zone calde del mondo.
Invece il compito del sistema di difesa è garantire la sicurezza nazionale ed Europea non l'export bellico. A questo scopo occorre è necessario prendere alcune misure urgenti:
tagliare e la spesa pubblica militare
Assumere le proposte delle campagna "Sbilanciamoci" per una una netta riduzione delle spese militari, con un risparmio immediato per la finanza pubblica di più di 5 miliardi di euro, sulla base di 5 misure:
⁃ riduzione immediata del livello degli effettivi delle nostre Forze Armate a 150.000 unità e il riequilibrio interno tra truppa e ufficiali e sottoufficiali (1,3 miliardi);
⁃ dimezzamento degli investimenti in nuovi Programmi d'armamento iscritti a bilancio del Ministero dello Sviluppo economico (2,3 miliardi);
⁃ congelamento immediato dei nuovi contratti di acquisizione dei cacciabombardieri F-35 previsti nel 2018 (600 milioni) e uscita dal programma di acquisto (14 miliardi complessivi)
⁃ ritiro dalle missioni militari all'estero di chiara valenza aggressiva(850 milioni).
Riconvertire l'industria bellica e regolamentare strettamente l'export bellico
1. l'industria bellica deve progressivamente essere riconvertita in industria ad alta tecnologia civile, con un piano nazionale che parta dall'industria pubblica, invertendo il trend di dismissioni del comparto civile;
2. per uno sviluppo economico eticamente e costituzionalmente sostenibile il MISE (Ministero dello Sviluppo economico) deve finanziare primariamente l'industria civile, almeno invertendo le attuali proporzioni (70 e 30);
3. far rispettare all'industria italiana degli armamenti - lintegralmente e strettamente - le norme internazionali, europee e sulle limitazioni all'export bellico, a partire dalla legge 185/90, in particolare sui paesi in guerra
4. all'interno di questa cornice interrompere, urgentemente e come prima misura, l'autorizzazione dell'export bellico nei confronti dell'Arabia Saudita, in guerra con lo Yemen
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