Manifesto redatto da Pietro Grasso e da discutere ed emendare

Liberi e Uguali

Un partito. Di sinistra. Una società di persone libere e uguali

Questo documento è un Manifesto politico e culturale; dunque non è un documento congressuale, non è un programma elettorale.

Serve ad aprire una discussione tra la gente.

Ci interessa riscrivere l'identità e la politica necessarie a costruire, da capo, una forza popolare della sinistra. In Italia, certo; ma partecipando, da protagonisti, anche a ricostruirla in Europa. Per questo è scritto in modo semplice e chiaro:

perché abbiamo bisogno di nettezza, nelle posizioni e nel linguaggio; perché l'ambiguità è una delle cause di perdita di credibilità della politica; perché l'ambiguità non è mai una risposta alla complessità dei problemi e delle soluzioni.

Al contrario: è proprio di fronte alla complessità che serve un orizzonte da tenere fermo, serve sapere dove si vuole andare, che tipo di società si vuol costruire.

Ci rivolgiamo a tutte e a tutti coloro che, idealmente e materialmente, vivono una condizione di disagio, di sfruttamento, di negazione del futuro e dei diritti; a coloro che si sentono soli, senza forza o speranze.

La politica, per noi è la lotta per trasformare la debolezza di ciascuno in una forza, in una speranza collettiva.

Cerchiamo partecipazione, consapevolezza, mobilitazione.

Cerchiamo di ricostruire una visione critica e di trasformazione; una forza popolare di sinistra.

Cambiare il mondo, non aggiustarlo

La mancanza del modello su cui plasmare l'ordine postindustriale ha effetti diversamente deleteri, a destra e a sinistra. A destra, infatti, dopo che il New Deal e Keynes hanno messo in evidenza le inadeguatezze del modello liberale, si sono affrettati a restaurarne le crepe dando vita al modello neoliberista. Questo modello, per quanto inadeguato alla società postindustriale, tuttavia riesce a sopraffare la politica con l'economia, l'economia con la finanza, la finanza con le agenzie di rating: sparigliando le classi, accentrando come non mai la ricchezza e il potere, rendendo docili le vittime attraverso un uso scaltro e massiccio dei media, imponendosi nei mercati, nei parlamenti e nelle università come pensiero unico. Soprattutto inquinando e colonizzando anche le idee e i comportamenti della sinistra.

A sinistra, infatti, non è accaduto nulla di simile: intellettuali e politici di sinistra, per darsi una patina di modernità, non hanno trovato nulla di meglio che mutuare idee neo-liberiste improvvidamente sdoganandole. L'esito è stato confusivo come non mai e la sinistra, abbandonata la missione di cambiare il mondo in senso egualitario, smessa la convinzione che la povertà possa essere debellata, si è ritrovata senza idee, senza ideologi, senza scuole, senza maestri, senza testi, senza riviste e giornali, senza mete e senza strategie. In fine, si è ritrovata senza voti. Ecco perché abbiamo l'ambizione di cambiare il mondo, non di aggiustarlo.

La sinistra, non solo italiana, attraversa un momento drammatico e magico al tempo stesso; è in mezzo al guado tra la sua estinzione e la sua reinvenzione, costretta a elaborare una nuova idea di mondo, un modello inedito di società tarato sulle nuove condizioni oggettive determinate dal progresso tecnologico, dalla globalizzazione, dallo sviluppo organizzativo, dalla longevità, dai media e dai social media, dalla scolarizzazione, dalla crescita esponenziale della popolazione, dall'uso responsabile delle risorse del pianeta.

Superare gli errori del passato

Abbiamo subìto, per oltre un trentennio, un'offensiva materiale e ideologica incentrata sulla naturalità dei rapporti umani e sociali dominanti; sulla priorità del profitto rispetto alla vita delle persone e del pianeta; sulla centralità del privato e dell'individuo. Gran parte della sinistra, in Italia e in Europa, di fatto, ha acquisito questi idoli del capitalismo come propri. È giunto il momento di rovesciare radicalmente, politicamente, culturalmente, concretamente questa rappresentazione. Bisogna farlo dentro di noi e dentro la coscienza di milioni di italiani. Prima gli esseri umani - a cominciare dai più deboli - la loro vita, il loro benessere, i loro diritti; non il profitto, il denaro, il capitale. Prima il pubblico, i beni comuni, la socialità, gli interessi collettivi; non il privato, il mercato, l'individualismo. Non solo è possibile, ma sono necessarie un'economia ed un'organizzazione sociale incentrate sul primato dell'interesse pubblico, delle comunità. Una politica che viva nella vita reale, nei suoi bisogni, nei suoi conflitti. Una politica fatta di partecipazione, controllo e proposta Costruire, tra lo Stato, gli amministratori pubblici e i cittadini, una nuova etica pubblica, è parte integrante della rifondazione della democrazia; è essenziale per tornare ad affermare il primato dell'interesse collettivo su quello privato. Radicalità e coerenza

La radicalità non è un atteggiamento estremista o snob, una fuga dalla realtà, ma è nelle cose, è nella natura delle diseguaglianze, è nell'espropriazione di futuro e di libertà di intere generazioni, è nell'odio sociale diffuso e cavalcato, è nel tentativo delle classi dominanti di scardinare la democrazia rappresentativa e le conquiste sociali raggiunte. La coerenza non è mai un puro dato etico; è uno strumento di lotta e di formazione politica. Essere coerenti significa essere conseguenti ad un disegno generale e condiviso, ed esserlo in ogni scelta, in ogni posizione, in ogni battaglia; significa liberarsi dall'idea della mediazione come strumento di consenso; significa - in una frattura sociale - scegliere di rappresentare la faglia più debole, la giustizia più profonda; e vedere in quella difesa l'interesse generale.

Prima gli esseri umani.

In questi decenni la privatizzazione degli interessi e delle risorse si è incuneata ancor più nella dimensione politica e nella gestione dello Stato e degli enti locali, piegando la sfera pubblica per eccellenza, a quella, appunto, privata; le logiche di un capitalismo senza più avversari hanno strutturato le dimensioni che avrebbero dovuto indirizzare e controllare; hanno indebolito ulteriormente, nei gangli centrali e periferici dello Stato - e soprattutto nella coscienza sociale - un'etica pubblica già assai precaria nel nostro Paese, moltiplicando, persino dopo Tangentopoli, fenomeni di corruzione ed illegalità. Abbiamo assistito all'estensione a tutta la penisola della penetrazione delle mafie, nell'economia, nella finanza, negli appalti. Tanto più debole, credibile e delegittimata è la funzione dello Stato, tanto minore è la reale partecipazione popolare, tanto più forte è il controllo mafioso. Nel Paese con alcune delle più potenti e ricche mafie del mondo, si è riusciti - rovesciando radicalmente la realtà - a diffondere l'equazione insicurezza-immigrazione, costruendo - come già accaduto, nella storia del Novecento - il nemico povero e debole, per nascondere e preservare il nemico reale, forte e ricco. Per questo, la lotta contro il caporalato, contro lo sfruttamento e la precarietà, contro il razzismo, per la dignità e i diritti degli esseri umani, è tutt'uno con la lotta contro l'illegalità.

Trasformazioni ambientali, demografiche e antropologiche, tecnologiche e sociali - quella che, in sintesi, chiamiamo globalizzazione - sono il terreno su cui il capitalismo contemporaneo sta costruendo nuove - ingiuste e violente - forme di produzione e di esistenza. La sinistra che vogliamo costruire deve dare forma, non nei sogni futuri, ma nelle lotte dell'oggi, al mondo della libertà e dell'uguaglianza. La persona: universalità dei diritti e valore delle differenze I cambiamenti globali, carichi di nuove opportunità, ma anche di nuove ingiustizie e di quelle di sempre, richiedono di coniugare al presente il valore irrinunciabile della universalità dei diritti fondamentali delle donne e degli uomini, considerandoli sempre come fini e mai come mezzi. Uguali nei diritti e nelle opportunità, diversi nei modi di vivere, nella sessualità, nei pensieri e nelle culture, nei desideri e nei sogni. Per questo, ad esempio, l'operazione "Mediterranea" ci vede coinvolti: per noi salvare le vite in pericolo è una priorità; si devono poi costruire modelli intelligenti di accoglienza diffusa e vere politiche di integrazione. Non può esserci una gerarchia di valore, né una precedenza temporale tra diritti sociali e diritti civili, tra libertà e uguaglianza, tra sfera della persona e della collettività. Per tutti, da ovunque provengano. C'è un'interdipendenza tra diritti civili e diritti sociali; lo status di cittadino deve essere collegato alla possibilità di accedere a tre diritti fondamentali: al lavoro, alla salute, al sapere e alla conoscenza. Proprio per questo il welfare e il diritto allo studio sono punti qualificanti e irrinunciabili della nostra azione politica. Il mondo che vogliamo, da oggi e per il futuro, è ricco delle differenze, è libero nell'uguaglianza. La politica che vogliamo deve restituire alle persone il desiderio di battersi per questo mondo. Quella di genere non è, per noi, una questione mediabile. In nessuna sfera dell'esistenza - pubblica e privata - è concepibile alcuna forma, materiale, giuridico, comportamentale, verbale, culturale di diseguaglianza nei diritti e nelle condizioni tra donne e uomini. Ancora una volta: diversi nelle forme della vita, uguali nei diritti.

Dignità del lavoro.

Lavorare meno, lavorare meglio, lavorare tutti Nella società postindustriale si può continuare a parlare di centralità del lavoro e della sua dignità? E di che lavoro si tratta? Progresso tecnologico e produttività crescono a velocità esponenziale. Gli effetti congiunti di piattaforme virtuali, nanotecnologie e robotica, spingono verso uno sviluppo senza lavoro inteso secondo le precedenti tipologie. Oggi, in Italia, due lavoratori su tre sono lavoratori intellettuali. Se il lavoro esecutivo non verrà ridistribuito, la disoccupazione aumenterà. Ne deriverà una riduzione dei consumi e un aumento dei conflitti sociali. Contemporaneamente muta il rapporto tra lavoro e tempo libero, a smaccato vantaggio del secondo. Anche queste considerazioni debbono guidare la riflessione della sinistra sul ruolo da attribuire al lavoro, consigliando cautela sia nell'attribuirgli l'antica centralità, sia nel sottovalutare l'importanza che il tempo libero e la formazione al tempo libero debbono rivestire in una rinnovata visone della vita. Dignità e diritti, al lavoro e nel lavoro, dignità nella disoccupazione, nella pensione o nella malattia; dignità e diritti per chi è nato in Italia e per chi ci arriva; dignità e diritti allo studio e nello studio. Vogliamo raccogliere, senza più subalternità e cedimenti, la sfida della modernità; rovesciandone gli indirizzi e gli effetti. È la sfida tra un'umanità più ricca, libera e consapevole e una più sola, povera e subalterna. Una sfida che rimanda inevitabilmente ad un conflitto culturale, sociale e politico. Come non vedere poi che in questo contesto si è allargata, per dimensioni e drammaticità, una enorme questione generazionale: precarietà, prospettive di vita, diritti alla formazione, al lavoro e nel lavoro, alla pensione e alla sopravvivenza autonoma. Occorre mettere in campo una soggettività giovanile attiva e consapevole, intorno a battaglie e obiettivi concreti, è decisivo per la natura della forza che vogliamo costruire. Diritto allo studio, al lavoro, alla casa, al reddito; lotta alla precarietà, qualità della formazione, spazi di socialità, accesso alla cultura e alle professioni. Battersi per un futuro solidale, per l'autonomia e contro le solitudini.

Europa oltre l'Europa

L'esito della critica profonda e strutturale all'attuale assetto dell'eurozona nel suo complesso, dovrebbe essere l'impegno per una radicale trasformazione del progetto di Unione. Il superamento dell'attuale sistema intergovernativo è l'unica via che può garantire la realizzazione di politiche keynesiane alla scala adeguata per il mondo globalizzato in cui viviamo. E, allo stesso tempo, è l'unica che può garantire il governo, con funzioni di indirizzo, controllo e sanzioni, di grandi problemi contemporanei quali le nuove tecnologie, i diritti di nuova generazione, il commercio. Questo non solo e non tanto per ricondurre il progetto deviato all'originale, ma perché le condizioni del mondo oggi rendono questa prospettiva più attuale e necessaria di allora. È la globalizzazione a renderlo urgente e necessario perché la risposta alle sfide da essa posta non è né il modello di Unione attuale, né quello che deriverebbe dall'affermarsi degli egoismi nazionalisti. Occorre una nuova prospettiva che sappia, ad esempio, farsi carico di trasformare le migrazioni da problema come viene percepito oggi, in opportunità, giacché nell'Europa - aperta e solidale - la gestione delle migrazioni può essere competenza del governo sovranazionale. L'Europa unita è ancora un progetto attrattivo per i giovani che, anche in ogni paese in cui si è manifestata un'opinione pubblica a maggioranza euroscettica, è la parte di popolazione naturalmente europeista perché nata e cresciuta in un ambiente in cui le frontiere nazionali nella vita quotidiana si sono quanto meno affievolite. Vogliamo dare voce a questa speranza. Quindi occorre rivedere l'impalcatura istituzionale per rafforzare i poteri politici dell'Unione e ridurre quelli coagulatisi intorno al metodo intergovernativo. In altre parole è necessaria una revisione significativa dei Trattati. E non lo possiamo fare con chi, sin qui, non ha saputo o non è voluto intervenire. Per questo riteniamo che le storiche famiglie politiche europee, socialisti compresi, hanno fatto il loro tempo. Questa la nostra bussola anche per le prossime elezioni europee.

Democrazia e partecipazione. Il partito del terzo millennio. È opportuno iniziare da una definizione di partito: non è scontata, se ne possono dare di varie e diverse. Nel nostro caso, un partito che si richiami alle idee e ai principi della sinistra è un partito che, innanzi tutto, svolga le funzioni richiamate dall'art. 49 della Costituzione: "Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale". Queste parole sono ricche di implicazioni, che meritano di essere sviluppate: è da esse che possiamo trarre un'idea di partito: un partito realmente democratico è una libera associazione di individui che condividono idee, valori e programmi politici, che affermano una visione della società e del suo possibile sviluppo, e che si organizzano per affermare questa visione nel confronto e nel conflitto contro visioni diverse e alternative. Un partito realmente democratico è un'associazione di cittadini che concorrono, con gradi e diversi livelli di partecipazione e responsabilità, all'elaborazione di queste idee e programmi e che si confrontano, nella sfera pubblica, con altri cittadini, portatori di idee diverse. Nel momento stesso in cui svolge questo ruolo, un partito rafforza la qualità della democrazia, migliora la qualità del rapporto tra istituzioni e società, produce "spirito civico", accresce le conoscenze e le competenze politiche dei cittadini, offre ad essi canali e occasioni di partecipazione. E lo fa, anche attraverso la propria vita interna, se questa si alimenta e si esercita attraverso la discussione pubblica, il confronto argomentato, l'interazione comunicativa, in una molteplicità di livelli e sedi di confronto ed elaborazione politica. Si possono ipotizzare nuovi modelli partecipativi e deliberativi, si può ricorrere alle più diverse metodologie oggi disponibili, e si può altresì immaginare un uso politico e democratico della rete e di tutte le nuove tecnologie dell'informazione e della comunicazione. E d'altronde proprio i più dinamici e vincenti movimenti dell'attuale sinistra europea (da Momentum di Corbyn nel Regno Unito a Podemos in Spagna) già sperimentano questi sistemi. In una battuta e in sintesi: il nostro partito discuterà, dibatterà sempre e ovunque e, al tempo stesso, si impegnerà per essere il più innovativo possibile, ricorrendo alle migliori tecnologie disponibili per l'espressione del consenso individuale degli aderenti. Un partito che sappia assumere lo sguardo delle ragazze e dei ragazzi sul mondo, che innovi il linguaggio e l'identità della sinistra del terzo millennio e faccia del proprio radicamento territoriale il laboratorio per una nuova classe dirigente. www.liberieuguali.it

Pietro Grasso

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Ripartire dai principi della Costituzione, sempre www.huffingtonpost.it Nicola Fratoianni

 Se intendiamo celebrare in modo non rituale il 70° anniversario della Costituzione repubblicana, è forse dalla cruciale distinzione tra "Costituzione formale" e "Costituzione materiale" che dobbiamo ripartire. Con questa formula infatti Costantino Mortati - che fu non a caso membro dell'Assemblea costituente, oltre che uno dei più creativi e autorevoli giuristi del Novecento italiano - indicava la differenza tra l'atto normativo che fonda un ordine politico e l'insieme dei sottostanti rapporti di potere tra le diverse classi sociali. Ogni concezione dinamica del costituzionalismo (e, aggiungo, ogni politica che voglia essere progressista) non può che appoggiarsi sulla ricerca di una permanente reciproca interazione fra queste due dimensioni, quella materiale e quella formale. È con questo spirito che volentieri raccolgo le suggestioni offerte dalle pagine del Manifesto da Anna Falcone e l'invito lanciato da quelle del Fatto Quotidiano da Tomaso Montanari. Da questo punto di vista, non possiamo che riconoscere come gli ultimi decenni, e i dieci anni della crisi in particolare, nella "Grande Regressione" che stiamo vivendo, siano stati segnati da un complessivo arretramento proprio sul terreno della "costituzione materiale". E che, in questo quadro, la difesa e l'attuazione dei principi della nostra Carta Costituzionale rappresentino uno dei pochi riferimenti, certi e solidi, di una politica di progresso e di cambiamento dell'esistente. Per essere ancora più chiari, condivido Falcone quando afferma che "la Costituzione non è perfetta, né intoccabile", e penso che nuovi diritti (e l'immaginazione civica e sociale che continuamente li produce), imprevedibili per le madri e i padri costituenti del '47/48, andrebbero formalmente riconosciuti e resi esigibili, così come nuove regole e nuovi dispositivi istituzionali, capaci anche di intervenire sulla verticale crisi di legittimazione della rappresentanza politica, dovrebbero corrispondere a una crescente domanda di autonomia e autogoverno, territoriali e sociali. È però del tutto evidente che mettere mano, oggi, alla nostra Carta fondamentale significherebbe invece certificare rapporti di forza sociali, e finanche una certa egemonia culturale, mai così sbilanciati nella storia repubblicana a favore degli effettivi interessi e del reale potere di pochi. Non è casuale che l'unica riforma costituzionale, passata nella scorsa legislatura, sia stata proprio - con la modifica dell'Articolo 81 - l'inserimento del vincolo del "pareggio di bilancio" sulla base dei diktat delle politiche di austerità. L'inversione di questa tendenza, fino al rovesciamento del suo segno, è compito non facile e di lunga lena che deve vedere l'impegno convergente di molteplici forze sociali, culturali, politiche. Un compito che non si esaurisce nella pur cruciale scadenza del prossimo 4 marzo. Ma l'apertura e la costruzione di uno spazio elettorale e politico, che sia in grado di rispondere alla crescente domanda di giustizia sociale e di dare attuazione al progetto definito dal testo dell'Articolo 3, è un pezzo decisivo di questo impegno. Siamo per questa ragione "libere, liberi e uguali", perché crediamo fino in fondo che sia "compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono in pieno sviluppo della persona umana (...)". Il seguito lo conosciamo e ci batteremo perché si realizzi. In questa prospettiva, qualora se ne presentassero occasione e condizioni, lavoreremmo per maggioranze parlamentari capaci di cancellare quella controriforma che, in nome del dogma neoliberista dell'"austerity", pretende di legare le mani a qualsiasi politica finalizzata alla redistribuzione della ricchezza e al rilancio di un ciclo virtuoso d'investimenti in indispensabili infrastrutture sociali. Ma in queste ore è in particolare il dettato di due Articoli che dovrebbe rimbombare nella testa di chi si dice di "sinistra" e intenda attribuire a questa parola un senso diverso da quello di un'etichetta sbiadita nel marketing della politica. Sono l'Articolo 10 che recita "lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l'effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d'asilo nel territorio della Repubblica", e l'Articolo 11 che ricorda come "l'Italia ripudi la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali." Ecco, rispettare la Costituzione, considerarla "stella polare" nell'azione di governo, avrebbe risparmiato al nostro Paese alcune tra le vergogne di cui si sta macchiando fuori dai suoi confini: gli accordi con i predoni libici e il subappalto a bande di trafficanti e torturatori della detenzione di decine di migliaia di profughi e migranti in campi finanziati dal Viminale; la vendita di micidiali ordigni fabbricati in Italia all'oscurantista monarchia saudita, che li sta impiegando nella sua sporca guerra contro la popolazione civile dello Yemen; l'invio di truppe da combattimento, a Parlamento sciolto, in Niger per tutelare armi alla mano opachi interessi e spostare ancora più a Sud la guerra asimmetrica contro i più poveri. Del resto un maestro di diritto e di politica come Stefano Rodotà, riferimento nella campagna referendaria di un anno fa, non mai ha pensato che la Carta del '48 fosse "immodificabile". Ha immaginato di aprirla ai diritti di "terza e quarta generazione" e all'orizzonte di una democratica Costituzione Europea. E Rodotà ci ricordava come "sul terreno costituzionale, la logica dovrebbe essere quella del reciproco riconoscimento di principi comuni." A questo compito, di difesa e attuazione, non ci sottrarremo mai: perché i "principi comuni" della nostra Carta sono materia viva della nostra battaglia politica, nell'anno e negli anni a venire, per un Paese più giusto e solidale, protagonista attivo per la pace e i diritti in tutto il mondo.

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