BENI CULTURALI

Liberi e Uguali: contributo programmatico su Beni culturali

28 DICEMBRE 2017

La Redazione

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Stiamo scrivendo, con un percorso partecipato, il programma di Liberi e Uguali. Il 16 dicembre a Roma si è discusso di conoscenza e cultura al Forum tematico di Liberi e Uguali. Lo abbiamo fatto con tante voci e col contributo di alcuni dei protagonisti del dibattito e delle lotte di questi anni sulla scuola, l'università, la ricerca e la cultura.

Bozza di documento istruttorio - Gruppo di lavoro su Beni culturali

Report finale - Gruppo di lavoro su Beni culturali

"La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione". Così recita l'articolo 9 della Costituzione. Nel corso della nostra assemblea, riguardo ai beni culturali, è emersa soprattutto la necessità di ripartire esattamente dall'articolo 9. Un dettato di grande valore perché indica il senso civile del patrimonio culturale, la sua centralità, e di come la tutela, unitamente al paesaggio e alla storia, sia compito della Repubblica, intesa in tutte le sue articolazioni. E' un obbligo costituzionali, un architrave democratico.

Dobbiamo ripartire esattamente da qui.

Severa è stata l'analisi di molte delle scelte compiute in questi anni. Mercificazione della cultura, è stato detto, opponendo a questa idea del mercato come centro, una idea invece di funzione pubblica, di funzione sociale della cultura.

Tante, insieme alle critiche, le idee e le proposte sollevate nel forum. Eccole, dentro un elenco che tiene insieme suggestioni arrivate da più parti, come un ascolto unico di tante voci, quasi mai discordanti, capaci già di per sé di tessere un ordito comune, come un comune sentire.

Un punto su cui in tanti si sono soffermati è il tema degli investimenti in cultura e politiche culturali. Gli ultimi dati europei risalgono al 2015. Gli Stati membri dell'Ue hanno dichiarato quasi 153 miliardi di euro di spesa pubblica per la voce "ricreazione, cultura e religione". Questa cifra è equivalente all'1% del Pil dell'Europa.

La quota più elevata delle spese per tempo libero, cultura e religione spetta all'Ungheria (2,1%) e all'Estonia (2,0%), quella minore all'Irlanda (0,6), a Grecia, Italia e Regno Unito (tutti e tre a quota 0,7%). Eppure, la cultura fattura in Italia 554 miliardi di euro. Una cifra che comprende arti visive, televisione, pubblicità, giornali, libri, teatro e musica ma anche radio, eccetera. Sono circa 6,5 ​​milioni i posti di lavoro nel settore culturale in Europa (quasi il 3% dell'occupazione totale), in Italia la percentuale di lavoratori culturali scende al 2,7: ancora in fondo alla classifica.

E' chiaro che un Paese con il patrimonio dell'Italia non può stare dentro queste cifre. Va riequilibrato il peso della cultura negli investimenti pubblici. Bisogna guardare alle parti altre della classifica, invertire totalmente la rotta.

Altre indicazioni programmatiche hanno riguardato temi più specifici. Il primo è quello di avviare un processo serio per il riconoscimento delle professioni culturali. Il tema del lavoro nella cultura è sentito e importante. Troppe sacche di precariato e di sfruttamento. Va regolamento anche il volontariato culturale, che a volte si trasforma in una nuova forma di precarizzazione e sfruttamento del lavoro. Il volontariato culturale non deve essere sostitutivo del lavoro. Lo stesso va detto anche dell'uso del servizio civile con fondi statali, che a volte rischia di apparire sostitutivo rispetto a vuoti in organico.

E' emersa con forza l'importanza del lavoro e la qualità del lavoro nel settore della cultura. Non ci possono essere servizi di qualità senza lavoro di qualità. A partire dallo stesso Ministero, dove troppe sono le sacche di precariato. Vanno fatti i concorsi. L'organico e stato troppo compresso, in questi anni, in particolare nel settore degli archivi e biblioteche. Valorizzare il personale interno e permettere a tutti di crescere di livello. Molte indicazioni sono arrivate rispetto alla necessità di sbloccare i turn over nella Pubblica amministrazione, riguardo al lavoro culturale. Molte attività sono state esternalizzate, in quella deriva culturale per la quale un privato sarebbe in grado di fare le cose meglio e prima del pubblico. Va rovesciata questa mentalità e le attività in molti casi devono essere reinternalizzate. Sempre sul terreno della professionalizzazione, vanno fatti più investimenti nella formazione.

Sui beni culturali, segnalata la necessità di ricucire il rapporto tra tutela e valorizzazione. In questo senso, anche il silenzio assenso ha bisogno di tornare in discussione: vanno responsabilizzati gli enti a dare valore alla tutela perché senza la tutela non c'è conservazione e non c'è valorizzazione. Così come va ripensato il tema del massimo ribasso nella gare d'appalto per alcuni beni culturali, dove il risparmio abbassa la qualità dell'intervento e diminuisce il potenziale di tutela.

Il sistema turistico è un perno importante di quello culturale. Ma attenzione a non centrare tutto sull'industria turistica. Essa deve essere sostenibile. Va bene l'incremento ma senza smarrire l'attività di valorizzazione, di indirizzo culturale, di tutela.

Va poi valorizzato il patrimonio diffuso. Non questa assurda gerarchia tra siti culturali che fanno da star e siti culturali di serie B. Il patrimonio culturale italiano è ampio, di varia natura, e va valorizzato con un sistema integrato e complessivo, che non costruisca gare tra primati e dimenticati ma tenga tutto insieme.

Sulla cultura, bisogna parlare al mondo. In termini di attrattiva turistica, naturalmente ma anche in tema di attrazione di investimenti. Possiamo essere luogo di formazione e di eccellenze, possiamo attrarre capitali e studenti, imprese e conoscenze. Possiamo essere un polo di valore e valori, di lavoro culturale, di formazione e promozione. In questo senso non va demonizzato, anzi va regolamentato e sostenuto anche il Fund raising da parte dei privati, che possono giocare un ruolo dentro però regole chiare, certe, condivise, con una guida pubblica che tuteli gli interessi collettivi.

La digitalizzazione degli archivi, la conservazione digitale in Italia è praticamente all'anno zero. E' emersa la necessità di investire su questo, piuttosto che disperdere risorse con bonus occasionali.

Non dimenticare, poi, la straordinaria vitalità del territorio. Associazioni, comitati, che lavorano su temi e in modi che lo Stato non ha. E' importante il ruolo delle comunità locali nella diffusione del patrimonio e nella tutela.Bisogna, nelle regole certe e chiare, dare un ruolo nella difesa dei beni culturali alle associazioni territoriali anche eventualmente nella gestione e nella valorizzazione dei beni stessi. Il sistema dei beni culturali è ancora troppo chiuso, bisogna lavorare insieme con obiettivi comuni. Tornare a parlare di persone e cultura, prima ancora che di prodotti.

L'impegno nelle periferie, per la cultura, è un nodo strategico. Non possono esistere parti di città, di territorio, interi quartieri periferici, senza una biblioteca, un cinema, un teatro, una rete culturale.

Bisogna tornare a costruire reti. In questo senso, anche le istituzioni devono territorializzarsi. Non vivere come corpi separati. Ministero e musei devono aprirsi, promuovere, diventare soggetti attivi. Va ridotta la frammentazione dei siti, per esempio delle stesse biblioteche, che diventano spesso doppioni mentre invece si possono specializzare, coordinandosi, trovando, nella rete appunto, un momento per unire le strategie.

Sul terreno fiscale, sono emerse proposte per immaginare un superamento della Siae, per ridurre l'Iva sui libri, portandola al al 2 per cento.

Altre proposte hanno riguardato la possibilità di affidare immobili demaniali sfitti e inutilizzati ad associazioni non profit con intenti di lavoro culturale e sociale. Così come è emersa da molte parti la necessità di costruire una fruizione gratuita dei musei.

I beni culturali devono essere considerati Servizi pubblici essenziali.

In conclusione, al di là dei dettagli interessanti sul piano delle proposte, così come sopra delineato, è emerso il bisogno di ripensare alle categorie e reinventarle. Ripensare le città, le persone, le istituzioni, perfino le dimensioni territoriali. I quartieri come luoghi di incontro, i siti culturali come epicentro di cittadinanza. Ripartire dalla cultura per rinsaldare la comunità. Non solo economia, quindi, non solo mercato, non solo turismo ma luogo, inclusione, persone, aggregazione sociale, ricchezza immateriale e di tutti.


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